Sono arrabbiatissima, di una rabbia che si mescola con il dolore e il senso di impotenza, per tutto ciò che sta succedendo in Palestina da fine 800. Un progetto che pare essere arrivato al suo capitolo finale e, proprio per questo, deve indurci ad alzare la voce.
Il 9 maggio era la Festa dell’Europa ed è stata lanciata una campagna nazionale dal titolo “L’ultimo giorno di Gaza” per invitare le persone a parlare della Palestina, di ciò che sta succedendo. L’idea alla base di questa iniziativa era quella di coprire il complice silenzio dell’Occidente su un genocidio finalizzato a occupare definitivamente tutte le terre palestinesi. Obiettivo? Seguire il verbo dell’Antico Testamento. Per questo Israele procede col suo “progetto” a suon di bombe, fame, sete e crimini di guerra, in totale violazione del diritto internazionale e soprattutto di qualsivoglia parvenza di umanità. E “noi” stiamo a guardarlo in silenzio.
Questa campagna mi ha provocato fastidio, ma solo ora ho capito perché:
- perché è arrivata troppo tardi, nel momento in cui cavalcare l’onda della questione palestinese è diventato mainstream;
- perché non fornisce un messaggio concreto per fare davvero fronte comune: invita a piangere tutti insieme senza dare consigli pratici per fare qualcosa;
- non centra il cuore del problema: continua a usare un linguaggio politically correct senza dare il giusto nome alle cose e senza spiegare il vero significato di termini abusati come antisemitismo e terrorismo. Servono messaggi semplici e concreti per arrivare a più persone possibile.
Due premesse prima di continuare.
Sto scrivendo questo articolo di getto e, conoscendomi, non sarà breve. Dedicherò la prima parte al mio personalissimo sfogo e la seconda a una raccolta di consigli utili per cercare di fare rete e contribuire anche con piccoli gesti a camminare insieme verso la difesa dei valori di libertà e dignità umana. Se hai poco tempo, puoi passare direttamente alla seconda parte.
Palestina: sono arrabbiata e non sono la sola
Non voglio entrare nel dettaglio del racconto storico, perché non è il mio mestiere e io stessa mi ritengo ancora “ignorante” per permettermi di disquisire su temi che non padroneggio. Ammetto, con un discreto senso di colpa, che fino al 7 ottobre 2023 non mi ero interessata in modo approfondito della questione palestinese.
Ma negli anni ho imparato ad affinare la mia capacità di interpretare ciò che leggo o ascolto, e trovare le giuste fonti per capire cosa succede nel mondo. Quando l’8 ottobre 2023 ho iniziato a seguire il racconto di ciò che stava succedendo in Palestina, mi è stato subito chiaro che qualcosa non tornasse in quello che stavo ascoltando e leggendo. Ho quindi iniziato a documentarmi, a cercare fonti più vicine possibile alla Palestina per capire cosa stesse succedendo, non dal 7 ottobre, ma da molto molto prima.
Ho iniziato a capire molte cose.
Ho capito che quando accadono fatti palesi e i nostri mass media non ne parlano, significa che ci sono interessi che vanno molto oltre la necessità di agire nel modo GIUSTO.
Ho capito che i social network hanno rivoluzionato le interazioni umane, apportando cambiamenti che richiedono adattamenti e difese, ma ci hanno consentito di conoscere cose che altrimenti non avremmo mai potuto sapere.
Ho capito che quello che sta succedendo in Palestina non sta succedendo solo lì, ma è già successo e succede anche in altre zone del mondo. Questo è “semplicemente” il primo caso di genocidio documentato in diretta da dentro.
Ho capito che possiamo imparare a capirlo, per sviluppare strategie di lotta pacifica che possiamo poi replicare negli altri contesti che lo richiedano, anche se si tratta di “genocidi minori”.
Ho capito che, se la storia è maestra, l’uomo non è un bravo alunno, perché ha questa spiccata tendenza a dire “mai più” di fronte agli orrori del passato, ma poi li rifà come se nulla fosse, senza peraltro la possibilità di nascondersi perché oggi non è più possibile.
Ho capito che una volta potevamo crearci l’alibi che non sapevamo, mentre oggi sappiamo, quindi se scegliamo di girarci dall’altra parte siamo complici.
Ho capito che raccontare la storia della Palestina dal 7 ottobre è pretestuoso e alimenta solo l’islamofobica ossessione della lotta al terrorismo, come se il terrorismo nascesse dall’oggi al domani, dal nulla. Ho capito invece che l’etichetta di “terrorista” è spesso usata per sminuire una lotta di resistenza fatta di persone che sanno ciò che vogliono e lotteranno fino alla fine per tenerselo: la LORO TERRA. Altre volte invece si parla di terrorismo perché “milizie armate finanziate dagli invasori” non si può dire.
Ho capito che le cose sono sempre molto più complesse di quanto possiamo credere ma che spesso, per capirle, basta mettersi per un attimo nei panni degli altri, cosa che sembra enormemente complicata per la stragrande maggioranza delle persone.
Ho capito che voglio circondarmi di persone che sanno tenere gli occhi aperti per rimanere dal lato giusto della storia. Di queste persone ce ne sono tantissime, le incontro quotidianamente sui social e nella vita offline, ma spesso fanno meno rumore. Fare rete e rimanere unite è necessario per costruire, mattone dopo mattone, un mondo più a misura di ciò che sogniamo per le nostre figlie e i nostri figli.
Sono arrabbiata, dicevo nell’introduzione, per almeno due motivi.
Il primo motivo è ovviamente di carattere umano, etico, sociale, politico, antropologico…
Non riesco in alcun modo ad accettare che si possano infliggere torture ad altri esseri umani. Vedere il popolo palestinese (già vittima da decenni di apartheid nel più grande campo di concentramento a cielo aperto che sia mai stato realizzato) letteralmente raso al suolo da bombe, fame e sete, mi provoca un dolore talmente forte da non poterlo proprio tollerare. Non mi sono risparmiata fin dall’8 ottobre 2023: ho scelto di seguire sui social i profili di giornalisti o attivisti direttamente dalla Striscia di Gaza (almeno finché sono rimasti in vita o non sono riusciti a scappare). E da allora non passa giorno in cui non veda bambini ammazzati per mano dell’esercito di un Paese che sta commettendo ogni tipo di crimine contro l’umanità, violando ogni norma possibile del diritto internazionale, e ovviamente spazzando via ogni minima parvenza di pietas umana.
Il tutto accompagnato dal connivente silenzio dei governi europei, le cui mani sono legate da sudditanze internazionali di lunga data, e i cui soldi finanziano e armano l’esercito israeliano.
Il secondo motivo per cui sono arrabbiata è infinitamente meno importante e mi permetto di citarlo a fianco del primo solo perché siamo in un blog di viaggi e vorrei che questo rimanesse sempre l’argomento centrale. Non ho mai fatto un viaggio in Palestina e non potrò farlo mai più (e io non tollero che mi venga preclusa la possibilità di scoprire un angolo di mondo con una storia così ricca).
Sia perché le terre bombardate nella Striscia di Gaza sono state rese inabitabili dall’uomo e ci vorranno tanti anni per rimuovere le macerie inoltre le occupazioni illegali, l’apartheid e ogni tipo di angheria o ritorsione personale sono la quotidianità anche nelle altre parti di Palestina).
Sia perché ovviamente non porterò alcun Euro nel paese il cui governo sta portando avanti il disegno finale di deportare tutti i Palestinesi per occupare le loro terre.
Ma quella terra è meravigliosa! E mi fa tanto arrabbiare il fatto di non poterla andare a toccare con mano.
PALESTINA: cosa possiamo fare?
Limitarsi alla rabbia non serve a niente, quindi ho pensato di raccogliere alcuni consigli per tentare di fare massa critica e lottare con tenacia e umanità per portare un piccolo aiuto a una questione così tanto più grande di noi. Ogni giorno sento e leggo “mi sento inutile, non so cosa fare”. Ci sono tante piccole cose che possiamo fare: da sole siamo gocce, tutte insieme diventiamo onda.
Odio gli indifferenti.
Credo che vivere voglia dire essere partigiani.
Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano.
L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita
(Antonio Gramsci)
INFORMARSI
Nessuno nasce imparato e sentirsi in colpa per non saperne abbastanza non serve a niente.
PROFILI SOCIAL
Possiamo iniziare a seguire i profili social di giornalisti e divulgatori che parlano di Palestina. Qualche tempo fa avevo raccolto un po’ di profili, eccoli qui:
- @wizard_bisan1 (film maker, sul campo)
- @ahmedeldin (giornalista, sul campo)
- @noor.harazeen (giornalista, sul campo: ha evacuato il figlio e la figlia in Egitto ed è rimasta per continuare a raccontare)
- @motaz_azaiza (il fotografo che per 108 giorni ha raccontato ciò che succedeva, poi è riuscito a scappare
- @aljazeeraenglish (uno dei pochi media internazionali che continua a raccontare ciò che succede nei territori sotto assedio)
- @middleeasteye (portale di notizie)
- @ajplus (portale di notizie)
- @eye.on.palestine (portale di notizie)
- @almajd_free (artista, sul campo)
- @wissamgaza (fotografo, sul campo)
Per un’analisi ragionata e competente sulla storia e sull’attualità, alcuni profili italiani:
- @francesca.albanese. (giurista, consulente dell’ONU)
- @valerionicolosi (giornalista)
- @michimenti (giornalista)
- @nonmipiaci (scrittrice e divulgatrice)
- @emiliomola1 (scrittore e divulgatore)
- @pablotrincia (giornalista)
- @marcomagnano (giornalista, dal Libano)
- @leila.belmoh (giornalista, divulgatrice)
- @viola_carofalo (divulgatrice)
- @cecilia_parodi75 (scrittrice)
- @dejalanuit (fotografo, divulgatore)
- @karem_from_haifa (racconta la Palestina)
Altri profili che mi sono stati segnalati:
- @romanarubeo
- @basilaladraa
- @storiedallaltro mondo – Francesca Napoli, avvocata per i diritti umani
- @watermelonrelief
- @possiblepalestina
- @jewishvoiceforpeace
- @assopacepalestina
- @mothersagainstgenocide
- @humantiproject
- @gennarogiudetti medico ONU WHO
- @translating_falasteen
- @insideover
GIORNALI E TELEGIORNALI
Fare la massima attenzione quando ascoltiamo o leggiamo i media cosiddetti tradizionali: non è vero che se una cosa “la dice la TV” allora è vero. Anzi.
Un’azione fondamentale che possiamo fare è boicottare la stampa connivente: i mass media in questi anni hanno infarcito notiziari e giornali di notizie scritte con un doppio standard a seconda dell’oggetto. I bambini palestinesi sono stati ammazzati: i giornali che scrivono semplicemente “sono morti” non meritano il nostro tempo e il nostro denaro. Leggiamo sempre con occhio critico e scegliamo le fonti che trattano i bambini palestinesi esattamente come i bambini ucraini, o che usano le parole esatte per raccontare la storia palestinese (guerra di occupazione, apartheid, sionismo, coloni, ecc…).
Alcune famiglie della mia community mi hanno suggerito Internazionale Kids per avvicinare i bambini alle questioni politiche con un linguaggio adatto alla loro età.
LIBRI
Ancora più utile è dedicare un po’ di tempo a leggere qualche libro per capire perché “la storia di questo genocidio non inizia il 7 ottobre ma molto molto prima”. Qualche suggerimento:
- “Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina”, scritto dallo storico israeliano Ilan Pappé, un libro perfetto per le persone che ignorano la storia di questo pezzo di mondo. 137 pagine dense ma che riassumono i fatti che hanno portato a oggi. Un libro da leggere soprattutto se non hai ancora capito la differenza tra ANTISIONISMO e ANTISEMITISMO. L’antisemitismo non ha assolutamente niente a che fare con la denuncia del genocidio in corso e dell’apartheid di cui sono vittime le persone palestinesi, sia a Gaza, che in Cisgiordania e in Israele stesso: è di pochi giorni fa la notizia che sono state chiuse 6 scuole frequentate da studenti palestinesi a Gerusalemme (che per forza di cose non potevano essere bombardate come invece succede a Gaza).
Molto preziose sono le pubblicazioni di Francesca Albanese, giurista specializzata in diritto internazionale e diritti umani. Dal 2022 è relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati:
- “J’accuse“. Partendo dall’inaccettabile e brutale attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il libro racconta lo stato dei territori occupati prima e durante quegli anni. Una conoscenza necessaria per capire il contesto, anche attraverso la conoscenza delle questioni di diritto internazionale rilevanti.
- “Quando il mondo dorme: storie, parole e ferite dalla Palestina” È appena uscito, quindi non l’ho ancora letto
Per conoscere in modo approfondito Gaza e tutta la Palestina, consiglio di leggere e seguire Valerio Nicolosi, giornalista specializzato in politica estera e in particolare nel Medio Oriente.
- “C’era una volta Gaza. Vita e morte del popolo palestinese” prendo direttamente dalla sinossi: offre uno sguardo autentico sulla vita quotidiana a Gaza, mettendo in luce esperienze di vita che vanno oltre i conflitti e la politica. Il libro racconta le vicende di persone comuni, come giovani atleti, contadini e studenti, che sfidano le difficoltà quotidiane in una città sotto assedio. Attraverso storie intime e immagini potenti, Nicolosi esplora la resilienza di una popolazione che, nonostante tutto, continua a sperare e a lottare per la libertà.
Altri titoli:
- Ogni mattina a Jenin, di Susan Abulhawa: racconta con sensibilità e pacatezza la storia di quattro generazioni di palestinesi costretti a lasciare la propria terra dopo la nascita dello stato di Israele e a vivere la triste condizione di senza patria.
- “La pulizia etnica della Palestina” di Ilan Pappé
- “La pace possibile” di Edward W. Said
- “Palestina” di Rashid Khalidi
- “Olocausto e Nakba. Narrazioni tra storia e trauma” di Bashir Bashir
- “Nel blu tra il cielo e il mare” di Susan Abulhawa
- “Ritorno ad Haifa” di Ghassan Kanafani
- “The General’s Son: Journey of an Israeli in Palestine” (in inglese) autobiografia di Miko Peled (che, dopo aver perso una nipote per colpa di un attentatore palestinese, ha iniziato un’incessante lotta al terrorismo israeliano, fulcro di tutte le violenze)
PODCAST
- “Racconti da Gaza” podcast che racconta Gaza da prima del 7 ottobre
- “Scanner“, la rubrica daily news cura personalmente da Nicolosi – è possibile ascoltarla su Storytel una app a pagamento sulla quale sono disponibili tantissimi podcast e audiolibri. Tramite il profilo di Nicolosi ci si può registrare per un mese gratuitamente e poi decidere se rinnovare a pagamento
- “Sangue loro” di Pablo trincia
- “Inside Gaza” di cesvi
FILM
- No Other Land: un docufilm che racconta la vita in Cis Giordania e i villaggi abbattuti dai coloni per occupare illegalmente terre palestinesi
- Erasmus in Gaza: segue le giornate di uno studente di medicina italiano che decide di fare un periodo di Erasmus proprio a Gaza. Racconta le difficoltà dei Palestinesi nel quotidiano e come il governo Israeliano cerchi in tutti i modi di spezzare i sogni di quei ragazzi…
- The idol: un film sul popolare cantante palestinese Mohammed Assaf, dall’infanzia all’età adulta, e la sua vita a Gaza
- From Ground Zero: 22 cortometraggi, tra cui documentari, fiction, animazione e film sperimentali sulla situazione attuale della popolazione della Striscia di Gaza
- Tutto quello che so sulla Palestina, sull’amore.. e sul sionismo: non è proprio un film ma un video di Karem from Haifa, che racconta in modo crudo e diretto cosa sia il sionismo. Lo trovi su youtube a questo link.
Ricordati una cosa, molto sottovalutata: ANTISIONISMO non è sinonimo di ANTISEMITISMO. Condannare la guerra di occupazione a Gaza e il genocidio in corso non significa essere antisemita. Chi ti accusa di antisemitismo dimostra solo la sua ignoranza sul tema: se ne vale la pena, spiegagli la differenza, altrimenti evita di perdere tempo.
PARLARNE, CONDIVIDERE
Sono davvero troppe le persone che, seguendo solo i media tradizionali, non hanno idea di cosa stia succedendo davvero in Palestina, quindi spargere consapevolezza in rete è un gesto che aiuta a costruire una visione del mondo più realistica.
Io per esempio ho deciso di condividere quasi quotidianamente contenuti sul tema, e lo faccio anche se in questo modo ho penalizzato il mio lavoro perché scrivere “Gaza” sui social fino a poco tempo fa significava essere censurata con l’invisibilità per via di un algoritmo indirizzato in tal senso. Ma si possono sempre recuperare tutte le stories che ho fatto su instagram: sono salvate in evidenza in 3 cartelle con il disegno di un’anguria (perché era meglio evitare parole esplicite).
ESPORSI
Esporsi, metterci la faccia, schierarsi apertamente: FARE ATTIVISMO è anche questo. Solo così possiamo essere riconoscibili e fare rete con chi cammina nella nostra stessa direzione. Ciascuna persona può farlo nella propria vita quotidiana o nel proprio lavoro.
Io lo sto facendo anche qui, che è sia vita personale che lavoro.
Qualche mese fa stavo valutando di eliminare dal blog i racconti che parlavano di Israele, per non dare “visibilità turistica” al paese responsabile del genocidio. Poi però ho pensato che mi sarebbe dispiaciuto privare di parole una terra che non ha colpe, così bella e ricca di storia e luoghi che avrebbero meritato di essere fruiti da chiunque lo desiderasse. Ho quindi deciso semplicemente di rinominarla, contrassegnando la localizzazione come “Palestina”.
La trovi qui: bimbieviaggi.it/category/mondo/asia/palestina-asia/
Ho inoltre deciso di aderire alla campagna “SPLAI: Spazi Liberi dall’Apartheid Israeliana” promossa dalla rete “BDS – Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni per i diritti del popolo palestinese”, proprio perché il problema palestinese nasce molto prima del 7 ottobre, con un sistema di apartheid che costringe le persone palestinesi ad abbandonare la propria terra o subire una legislazione discriminante da parte del governo israeliano. Proprio mentre stavo pubblicando questo articolo mi è arrivata la conferma per entrare nella rete, quindi posso ufficializzarlo. Qui tutte le info e qui tutte le attività aderenti allo SPLAI.
Un altro tipo di pressione che possiamo esercitare consiste nel commentare sui social le testate che usano un doppio standard, oppure inviare email ai politici: sempre toni pacati, rispettosi ma decisi, per far circolare la giusta versione dei fatti e fare pressione su chi può prendere decisioni.
A tal proposito, teniamo traccia dei politici che in questi mesi hanno parlato della Palestina, perché sono quelli che dovremo votare alle prossime elezioni.
CONSUMARE IN MODO CRITICO
Mentre, in connivente silenzio, i nostri governi e l’Europa stanno armando l’esercito israeliano, senza prendere alcun provvedimento contro il paese occupante (come è invece successo contro il governo sovietico che nel 2022 ha invaso l’Ucraina), possiamo decidere noi di diventare massa critica e avviare un boicottaggio commerciale.
Qualche consiglio, come spunto:
- verificare se i prodotti che stiamo acquistando in negozio siano in qualche modo legati a rapporti commerciali con Israele: è sufficiente scaricare una delle APP BOYCAT o NO THANKS e scannerizzare il codice a barre del prodotto, per ricavarne le informazioni utili (non crediamo che sia inutile: Puma, per esempio, ha tolto la sponsorizzazione alla Federcalcio israeliana grazie anche al boicottaggio da parte dei consumatori). Consiglio inoltre di leggere questo articolo > guida al boicottaggio di aziende e prodotti
- Teva Pharmaceutical Industries è una multinazionale israeliana
- investire il proprio denaro in modo etico, per esempio cercando una banca che garantisca di non investire in armamenti (ad esempio Banca Etica);
- fare donazioni (5 per mille, donazioni libere, acquisto regali solidali, ecc…) ad Associazioni o ONG attive nel sostegno al popolo palestinese (o in altri territori di guerra): penso ad Emergency, oppure We World Onlus, ma ovviamente la scelta è molto ampia;
- a proposito di organizzazioni da sostenere, mi segnalano le seguenti: “Medical Aid for Palestinians” (MAP – Aiuti medici d’urgenza e supporto ospedali), “Palestine Children’s Relief Fund” (PCRF, Cura dei bambini feriti, medicine e attrezzature), “Islamic Relief Worldwide” (pacchi alimentari, acqua, rifugi temporanei), “Human Appeal” (Interventi d’emergenza a Gaza, con trasparenza sui fondi), “Anera” (American Near East Refugee Aid, fornisce beni essenziali e supporto logistico anche in situazioni critiche)
- aiutare direttamente le famiglie che dalla Striscia riescono ad essere attive online. A tal proposito una raccomandazione: sui social sono ovviamente partite tante truffe tramite profili creati ad hoc. È fondamentale affidarsi anche in questo caso ad associazioni serie che possano garantire sul profilo della famiglia a cui si devolvono gli aiuti tramite le piattaforme di crowdfounding. Mi hanno segnalato “Watermelon Friends” (profilo @watermelonfriendsit) che raccolgono e diffondono richieste di aiuto;
- acquistare prodotti palestinesi, per tentare di aiutare direttamente l’economia locale. Segnalo per esempio GAZA COLA e RIFT VALLEY FARMS
- un altro aiuto che mi hanno segnalato: “Cocomero”, un ebook di ricette nato per sostenere le famiglie palestinesi in stato di indigenza. Contiene 40 ricette vegetariane o vegane di diverse autrici. Tramite GoFundMe si può sostenere direttamente una famiglia a scelta: qui le info
L’ONU pubblica periodicamente la lista delle imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti nei Territori palestinesi (in violazione del diritto internazionale). In questo articolo di Altreconomia trovi tutti i dettagli e anche il link alla lista delle aziende.
In tema di VIAGGI, ho ricevuto un paio di segnalazioni:
- TRIPADVISOR: pubblicizza itinerari turistici sui luoghi del 7 ottobre (qui la tristissima realtà). Potremmo valutare di boicottare per un po’ la piattaforma, almeno finché non li toglie?
- AIRBNB e BOOKING: mi hanno segnalato che sono presenti sulle piattaforme anche alloggi appartenenti ai coloni israeliani (se ne parla anche in questo articolo di Amnesty International)
MANIFESTARE PACIFICAMENTE
Ovviamente, ultimo consiglio ma non per importanza, la presenza fisica ai presidi e alla manifestazioni organizzate in tutta Italia è sempre un modo efficace per dare anche una concretezza fisica all’attivismo, per vedere davvero che non siamo sole in questo cammino. Attenzione solo alle forme crescenti di repressione del dissenso: tenersi lontani dai facinorosi, dai disturbatori e dai manganelli è sempre la regola numero uno.
P.S.: ah, ovviamente ci resta un’ultima fondamentale cosa da fare: ricordarci quali sono i politici che si sono attivati, e mettere una croce sul loro nome alle prossime elezioni
Palestina: per concludere…
Finito, per ora. Questo articolo mi costa, lo ammetto, per tanti motivi che lascio all’immaginazione di chi ha avuto la pazienza di leggere fino a qui. Ho sentito però che era la cosa giusta da fare. Sto online perché mi piace, perché è il mio lavoro e anche perché voglio contribuire con la mia presenza a costruire un mondo migliore, soprattutto per mia figlia. Attivarmi pacificamente per difendere ciò in cui credo e fare rete con chi la pensa come me, e magari con qualcuno che cambia idea, è uno dei modi per urlare forte che voglio/vogliamo pace, inclusione e tolleranza e che ci opponiamo a ogni forma di razzismo, esclusione e in generale fobia per tutto ciò che consideriamo “diverso da noi”. Come dice Ghali nella sua canzone “Niente panico”:
La differenza tra me e te è che tu pensi che ci sia (cit. Ghali)
Questo è il mondo che voglio disegnare e questo articolo è un piccolo pezzetto del disegno.
Grazie per aver letto
Milena
(le foto della Palestina sono prese da Canva teams, le altre sono mie.
I link di Amazon sono affiliati)